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La Trinità in immagine

Analisi dell’icona della Trinità di Andrej Rublëv

Giovanna Ferraboschi

Andrej Rublëv, Santissima Trinità, 1411, Galleria Tret’jakov, Mosca

In occidente oggigiorno c’è un crescente interesse per le icone, dal greco eikon, che significa "immagine". E’ un genere di pittura a carattere religioso su pannello di legno che è nata e si è sviluppata in Oriente in ambiente greco-bizantino e russo-slavo nei secoli IV e V al tempo in cui l’arte Cristiana era ampiamente trattata. Le icone, inizialmente di grande formato, furono destinate alle Chiese e impiegate nelle processioni. Quando apparvero in formato ridotto (icone portatili) divennero sempre più ricercate come segni religiosi da tenere tra le pareti domestiche.

Sono molti i monaci e i santi che hanno pregato dipingendo icone e tra questi il più grande è il russo Andrej Rublëv. Della sua vita si sa poco: nacque a Mosca intorno al 1370 e fu allievo e poi assistente di Teofane il Greco (altro grande autore di immagini sacre). Diventò monaco del Monastero Andronikov di Mosca dove trascorse la maggior parte della sua vita e vi morì nel 1430 circa. Rublëv fu canonizzato nel 1988 in occasione del Millennio del Battesimo della Russia, ma la sua fama di Santità ha attraversato i secoli insieme con le sue celebri rappresentazioni. La sua opera più conosciuta, l’icona della Santissima Trinità, dipinta verso il 1425 e ora conservata al Galleria Tret’jakov di Mosca, apparve in tutto il suo splendore verso il 1909 dopo un accurato restauro per ovviare all’oscuramento prodotto dalla fuliggine delle lampade e dell’incenso.

Il capolavoro di Rublëv è tra le immagini più antiche del mistero trinitario e il Concilio dei Cento Capitoli di Mosca del 1551 dichiarò canonica la sua Trinità e stabilì che gli iconografi dovevano prendere esempio da quell’opera.

Il monaco russo, abituato alla contemplazione delle cose celesti, trasfuse nelle sue opere un profondo spirito religioso che lo ispirò e che espresse attraverso una pittura notevolmente sensibile e fluida, dai colori molto delicati e armoniosi.

Com’è riuscito l’artista-monaco a parlare del mistero di Dio con l’immagine? Dal Vangelo di Giovanni 1,18 leggiamo: Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato.

Scrive San Giovanni Damasceno (675-749), grande teologo che difese l’uso delle immagini durante la crisi iconoclastica: Dio che non ha né corpo né forma, non poteva essere rappresentato in alcun modo. Ma oggi si è fatto carne e ha vissuto fra gli uomini, si può rappresentare il visibile di Dio.

Delle tre divine persone dunque soltanto Gesù Cristo incarnatosi, è raffigurabile. E, a partire dai fatti, gli artisti non hanno esitato a trasporre in immagini anche il mistero centrale della fede e della vita cristiana, avvalendosi della simbologia delle linee, delle forme geometriche, dei colori, delle posizioni del corpo, della testa, degli atteggiamenti del volto, dei gesti delle mani, traendo elementi dalla natura e dall’esperienza umana.

Ciò che la Scrittura ci insegna con le parole è presentato in questa icona, dove ogni particolare non è lasciato alla libera fantasia dell’artista, ma ha un suo preciso e universale significato teologico.

Il testo biblico di riferimento è Genesi 18,1-16. L’artista ha sintetizzato in un’unica immagine il racconto scegliendo il momento in cui tre misteriosi pellegrini, ospiti di Abramo, sono seduti a mensa davanti alla tenda del Patriarca, presso il querceto di Mamre. Questo episodio della Sacra Scrittura è sempre stato interpretato dai Padri della Chiesa come un preannuncio del Mistero di Dio in tre persone, poiché nel testo sacro si alterna il singolare, quasi fosse una sola persona, al plurale.

Accostiamoci all’icona e osserviamola attentamente, tenendo presente la ricchezza dei simboli usati dal pittore per sottolineare la comune natura divina dei Tre e la Loro identità. Essi sono raffigurati come Angeli con le ali, i Loro volti sono uguali e nessuno è più giovane o anziano dell’altro: in Dio non c’è un prima né un dopo, ma un perenne oggi. Tutti e tre tengono in mano il bastone del viandante, segno della stessa autorità; anche le aureole, di giallo luminoso, sono tutte e tre uguali senza alcun segno di distinzione e ancora l’azzurro, colore divino, è in tutte e tre le figure che sono sedute su troni uguali, segno della stessa dignità.

Nonostante la Loro somiglianza, gli angeli hanno però identità diverse riferite alla loro azione nel mondo. L’identificazione è suggerita dai colori degli abiti, dalle posizioni dei corpi, dai gesti delle mani, dalla testa, dalla simbologia delle forme geometriche. L’atteggiamento delle tre persone divine, disposte a cerchio aperto verso chi guarda e in conversazione tra di Loro, esprime l’Amore trinitario: l’angelo al centro con la tunica rosso-porpora, il colore dell’amore che si dona sino al sacrificio, ha il mantello azzurro che lascia scoperta una spalla: è il Figlio, figura centrare delle Redenzione, è ripreso nel momento in cui ritorna all’interno della Trinità. Due dita della mano destra appoggiata alla mensa rivelano la duplice natura: umana e divina.

L’angelo di destra sembra sul punto di mettersi in cammino e raffigura lo Spirito Santo che sta per iniziare la Sua missione: è rivestito di un manto verde, segno di speranza. Ha un atteggiamento di assoluta disponibilità e di consenso alle altre due figure. Entrambi hanno il viso rivolto verso il Padre, che li ha mandati.

E’ Lui il punto di partenza dell’immagine. Il mantello ha i colori regali: oro e rosa con riflessi verdi, simbolo della vita. Al centro della mensa luminosa sta un calice-coppa con dentro l’agnello. Se si osserva attentamente l’immagine, l’angelo centrale (Figlio) è contenuto nella coppa formata dai contorni interni degli altri due angeli (Padre e Spirito).

La coppa, punto di convergenza dei tre - spiegò Filarete, metropolita di Mosca, in un’omelia del 1816 - contiene il mistero dell’amore del Padre che crocifigge, l’amore del Figlio crocifisso, l’amore dello Spirito che trionfa con la forza della croce.

fonte: Il Faro, giugno 1998

La Trinità
Andrej Rublëv, (Russia, 1365 - 1430)
Galleria Tret’jakov di Mosca (Russia)

Collegamenti esterni

Genesi 18,1-16

Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.

Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un pò di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo. Quelli dissero: Fà pure come hai detto.

Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce. All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.

Poi gli dissero: Dov’è Sara, tua moglie?. Rispose: è là nella tenda. Il Signore riprese: Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio. Intanto Sara stava ad ascoltare all’ingresso della tenda ed era dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi, avanti negli anni; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e disse: Avvizzita come sono dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio!. Ma il Signore disse ad Abramo: Perché Sara ha riso dicendo: Potrò davvero partorire, mentre sono vecchia? C’è forse qualche cosa impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te alla stessa data e Sara avrà un figlio. Allora Sara negò: Non ho riso!, perché aveva paura; ma quegli disse: Sì, hai proprio riso.

Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli.